Presentazione Letteraria- Ritratti d'auotre - a cura di Elio Paolo di StefanoStudio Tablinum: Ogni libro è un viaggio. Il libro che vi proponiamo oggi è un percorso umano strutturato attraverso una ideale galleria di ritratti : il ritrattista è la Storia stessa, intesa come Storiografia, ossia “lo scrivere di Storia”, con i suoi affioramenti dal buio siderale dei secoli, e la gallerista è l’autrice: gallerista perché  ha scelto i personaggi dal vasto repertorio offertole dall’antichità e perché li ha ordinati secondo un criterio nella cui comprensione consiste la scoperta del senso stesso di quest’operazione, che è insieme culturale, didattica e umana in senso lato.

Dall’uomo alla storia e dalla storia all’uomo: tutto sembrerebbe perfetto, in questo incessante movimento biunivoco fra individuo e società, se non si inserisse a pieno titolo, a strutturare questa polarità, un terzo elemento, che è il mito. Esso è propriamente altro dalla storia, perché riguarda fatti  e persone che nessuno ha mai visto, ma entra con prepotenza nella storia umana, e con pretese di parità alla realtà riguardo alla plasmazione della storia stessa. Sottoposto ad analisi razionale demistificante o accettato tout court e senza ulteriori riserve, esso si pone di fatto come una delle forze in gioco il cui ruolo non si può ignorare, anche solo guardando all’aspetto culturale in senso lato, e cioè alla cultura materiale e alla mentalità dei popoli antichi, i quali ne fecero oggetto di un culto specifico, quello eroico, che in quanto  tale si presta ad essere usato come instrumentum regni.  La scelta tematica e la sistemazione logica che l’autrice ha operato hanno – in questo caso- valore essenziale.

Seguiamole da vicino. Il libro si divide in tre parti di lunghezza disuguale: la prima è dedicata a una galleria di ritratti di uomini illustri della Grecia che iniziano da Teseo, l’eroe fondatore di Atene, e arrivano ad Alessandro; la seconda, più cospicua della prima, a quelli di Roma, dai mitici divini gemelli Romolo e Remo, principi-pastori in grado di compendiare e sussumere in sé con anticipo quasi profetico l’essenza antropologica dell’uomo romano, fino   a Cesare che, con la conquista del potere, fa giungere al suo naturale epilogo l’età delle guerre civili; l’ultima, infine,  è consacrata ai modelli di uomo politico e di Stato ideale che emergono dalle analisi dei principali storici dell’antichità.

Entrambe le gallerie, quella  dedicata ad Atene e quella dedicata a Roma, sono come incastonate fra due personaggi di cui il primo (Teseo per Atene, Romolo e Remo per Roma) emerge dalle nebbie incerte del mito per approdare a pieno diritto alla storia e l’ultimo (Alessandro per la parte greca, Cesare per quella romana) entra nello scenario di questo mondo già con i connotati dell’eccezionalità per iscriversi, proprio attraversando il terreno spinoso e minato della storia e della politica, nel firmamento mitico attraverso il processo di divinizzazione di cui è oggetto.

Fra questi due estremi, una serie di uomini che hanno incarnato i più svariati tipi umani, ma che da questa categoria non si lasciano mai fagocitare: sono uomini pii e ambiziosi, energici e risoluti, sprezzanti del pericolo e capaci di dominare fatti, ambienti, persone: Pericle, l’Ateniese ideale, aristocratico ma che sta dalla parte del popolo, fondatore di una  democrazia che è in realtà il governo di uno solo, lo stratega plenipotenziario, abilmente mascherato per poter reggersi su una base ampia di consenso popolare; Nicia, che il popolo ama per la sua pietà mista a una certa codardia di quelle che sono gradite da sempre alle masse, calcolatamente modesto e dignitoso, ma di fatto “promotore della pace e protagonista della guerra”; Alcibiade, incarnazione del desiderio di gloria innato nell’animo umano, incostante, volubile, capriccioso, egocentrico e capace di audaci voltafaccia, eppure ammirato da tutti e da tutti corteggiato.

Passando alla parte romana, troviamo figure che a volte richiamano -per la struttura etica- quelle greche, come un Fabio Massimo, ad esempio, che ricorda in qualcosa la pietas di Nicia, o Catilina, e nella sua moralità ambigua  gareggia con le doti di Alcibiade, singolarmente votato all’eccesso: ecco, però, che, proprio in virtù di questi evidenti richiami, balza chiaramente all’occhio la differenza che esiste fra la mentalità dei due popoli: il culto del carisma e della personalità  dei Greci  e il rispecchiamento di tutto il popolo nella figura e nell’azione dell’uomo pubblico e  del leader politico-militare che caratterizzò i Romani. L’autrice fa risaltare con sottigliezza e discrezione al contempo  il fondamentale carattere individualista di una civiltà come quella ateniese, in cui un Alcibiade, ad esempio, solo per il fatto di essere “bello”, kalòs, e pertanto ammirato e corteggiato,  si può permettere di mostrare, insieme con l’energia della sua tempra, anche i suoi vizi e le sue manìe, come l’ amore per il lusso, l’egocentrismo e “la dissolutezza dei costumi, che lo guidò verso eccessi nel bere e negli amori, verso un modo di vestire effeminato, verso un’ostentazione di lusso sfrenato”, e il popolo non gli sa dire di no, anzi subisce ammirato e sbigottito il fascino della sua personalità e della sua tempra fuori dal comune.. Catilina, invece, con la sua corruzione morale, non può che portare la res publica romana alla rovina, trascinando con sé la gioventù, condotta dal monstrum sull’orlo del baratro con un’opera perversamente sapiente. E’ chiaro in questo il carattere moralistico della storiografia romana, e quindi l’impronta  antropologica del popolo italico, incline alle gerarchie e alla trasmissione di padre in figlio dei valori etici nonché alla divisione rigida e netta fra bene e male, virtù e vizio. Crasso e il suo amore per l’oro e per il denaro, Pompeo con la sua indomita energia militare unita a semplicità, cordialità ed affabilità che lo rende bene accetto e gradito all’esercito, Mario con il carisma dell’ homo novus e la intraprendente baldanza del self-made man idolatrato dalle folle e dagli eserciti e il suo avversario Silla, l’aristocratico colto e amante dei piaceri, o Cicerone con le sue generose illusioni paideutiche verso la classe dirigente romana, compongono davanti a noi un mosaico che li trascende come individui e  però connota di sé, proprio a partire dalle loro fortissime personalità,  epoche intere della storia della Res Publica : in esse, il dramma di uno è il dramma di un popolo , di uno stato, di un’età. D’altra parte, se si considera che la civiltà greca ha fatto un eroe di Odisseo, che è il campione dell’intelligenza astuta e scaltra , si può facilmente comprendere la differenza di mentalità fra i due popoli. Paola Scollo suggerisce tutto ciò con degli accostamenti sapienti, ma senza mai vincolare il giudizio del lettore. Questo è un pregio non piccolo dell’opera, poiché rinuncia a un piacere che l’autore di solito si concede, e cioè quello di guidare le coscienze dei lettori in modo diremmo “psicagogico” verso le proprie conclusioni e i propri giudizi . L’onestà umana e intellettuale dell’autrice e la sua autentica vocazione all’insegnamento, invece, fanno si che ella ci ponga davanti un quadro significativo e fecondo di spunti, stimolando la riflessione, inevitabilmente diversa da lettore a lettore, senza mai offrirci soluzioni pre-confezionale. Per questo profondo rispetto verso il “lector in fabula” –per dirla con Umberto Eco- il lavoro di Paola Scollo merita tutto il nostro plauso e la nostra attenzione.

***

Appare chiaro che l’autrice ha scelto di coagulare la  storia del mondo antico attorno a quella di Atene e di Roma,  facendoci entrare prima nell’umanità che le ha rese esemplari e che ha fondato e stabilito per l’eternità un sistema di valori e poi per così dire trascendendo quei due poli stessi, per assurgere, con le figure di Alessandro e di Giulio Cesare, a un allargamento della visuale che, dopo un lungo tirocinio o gestazione, forgia delle figure che sembrano inglobare e superare tutta la “lezione” politica, etica, umana, che proviene loro dai secoli e dalle vicende che si trovano alle loro spalle, e si stagliano monolitiche ergendosi al di sopra dei secoli in una vertigine che sicuramente ha del divino e presentandosi ai nostri occhi di lettori con intatto tutto il fascino che può promanare dalle loro tempre eccezionali. Essi riescono a dominare il mondo e a imprimere ad esso il sigillo della propria superiore personalità, e determinano un ampliamento dei confini tale da dare luogo alla creazione di veri e propri imperi.

E’ questo schema nuovo che io trovo peculiare dell’analisi della Scollo, che individua i germi vitali della grandezza e li coltiva nell’ambiente ideale della città, l’utero in cui si sviluppa e prende forma compiuta quella forma di organizzazione sovrastatale che sarà destinata a reggere il mondo.

Rispetto a questo quadro che si dipana sotto gli occhi del lettore, condotto per mano e stimolato nel suo desiderio di addentrarsi in questo processo di scoperta in cui nulla è mai dato per scontato, il titolo “Ritratti d’autore” svela anch’esso progressivamente il suo senso: il ritratto è opera di selezione, in quanto sceglie, fra i tratti, quelli che meglio contribuiscono a conferire all’immagine finale che ne risulta la   fisionomia dell’anima che si vuole mettere in luce- e difatti Paola Scollo ha scelto, dal vasto repertorio che il mondo antico le metteva a disposizione, quelle figure che meglio l’aiutano a far emergere un’idea dell’uomo che , nei suoi studi, nelle sue letture e non ultimo nella sua pratica di insegnante – si è fatta dell’umano, come l’irrinunciabile componente della Storia, come il mattone da cui si parte per costruire qualunque percorso civile e politico, e soprattutto-credo, o così mi pare di capire- come di quell’insieme di contraddizioni che si rivelano sempre vitali e feconde e impediscono di pronunciare un giudizio definitivo di condanna per le fragilità umane, contribuendo in modo determinante ad educare ad apprezzare sempre le innumerevoli risorse che l’umano mette in campo nel suo agire all’interno della storia. In questo senso possiamo citare l’esempio di Fabio Massimo, la cui personalità si disvela progressivamente in tutta la sua forza che sa incidere nella storia eppure appare a tutti segnata negativamente da quel suo cunctare, da quell’esitazione che gli ha guadagnato il soprannome di Cunctator: eppure, nelle occasioni di discrimine,  quel perenne dissidio fra pugnare e cunctare svela tutta la  grandezza di una “intelligenza soprannaturale e divina”, e il popolo riconosce in lui un padre, secondo la tipica sensibilità romana. Eppure la parte più bellicosa dei suoi contemporanei aveva giudicato male la sua mitezza, praotes, per dirla con Plutarco.  Il ritratto si sfrangia in più ritratti quando , su un episodio in particolare, esistono più fonti diverse, ma tutte di pari livello: è il caso della morte di Pompeo, il grande conquistatore, di cui Cicerone dice che conobbe in lui un uomo onesto, integro e serio, e di cui l’autrice mette in evidenza il carattere di “paradigma dell’uomo vittima dei giochi imperscrutabili della sorte”:  l’autrice compone un ritratto a più voci in cui emerge la caratteristica peculiare di ognuna delle fonti, legata al genere letterario, all’epoca e all’autore, e riesce a restituire al lettore tutto intero il fascino di una narrazione che non si scompone mai e non si trasforma mai in pura indagine critico-ermeneutica, ma, con l’aiuto stesso delle fonti nella loro differenza vista piuttosto come fattore reciprocamente  complementare, presenta l’episodio scelto facendo risaltare ancor più l’intensità umana e la drammaticità dell’interazione fra la morte di un uomo e la fine di un’epoca storica, sempre mettendo in risalto alcuni caratteri della rappresentazione umana tipici delle fonti in questione: i tre testimoni sono Cesare, Plutarco e Lucano. Il pathos di quest’ultimo è evidenziato in modo chiaro e discreto, senza tuttavia entrare in dettagliate indagini critiche, come pure si avverte che l’autrice sarebbe stata tentata di fare, anche a motivo della confluenza, su questo punto, con l’indirizzo della propria ricerca, rivolto all’uso del linguaggio e delle sue potenzialità espressive: Paola Scollo sente che qui potrebbe toccare problemi troppo specialistici, che risulterebbero di difficile accesso per il pubblico vasto per cui ha pensato questo lavoro, e pertanto  riesce sempre a frenare questa spinta  anche in nome di un superiore intento di unitarietà, facendo risaltare i caratteri tipici di ognuna delle fonti solo come affluenti che alimentano l’unico fiume principale, che deve restare quell’unico ritratto che deve emergere dai testimoni utilizzati .

I macabri e patetici toni lucanei, ad esempio, non sono indagati che fuggevolmente come portato dell’epoca particolarissima in cui la Pharsalia vide la luce, ma utilizzati tout court come elemento che contribuisce ad ingigantire le ombre sinistre che gravano sul capo dell’assassino, Settimio, il quale è presentato da Lucano nell’atto di perpetrare non uno, ma due crimini: oltre a colpire il Magno, “strappa il velo, scoprendomettendo allo scoperto il volto venerando di Pompeo moribondo, afferra il capo, in cui è ancora presente il respiro, e appoggia il collo, ormai abbandonato, di traverso su uno dei banchi dei rematori. Tronca poi i nervi e le vene e spezza, con reiterati colpi, le vertebre: essi non conoscevano ancora il modo di staccare, con un solo fendente della spada, la testa dal busto. Ma, dopo che il capo, troncato dal corpo, rotolò via, il cortigiano fario reclamò per sé la prerogativa di mostrarlo con la sua destra». Nell’atto stesso di compiere l’atroce delitto, Settimio si macchiò di un delitto ancora più grave: la decapitazione. di qui l’apostrofe: «o Romano degenere, capace solo di svolgere le mansioni più basse, tronchi con l’aborrita spada il sacro capo di Pompeo, ma poi non lo porti tu stesso? o destino di un’onta suprema!».L’autrice ci conduce per mano a sentire in noi quell’aura di sacralità di cui Lucano circonda la figura di Pompeo. Ma questo lascio a voi lettori scoprirlo.

La dinamica per cui l’uomo pubblico passa a volte dalla gloria dle trionfo alla solitudine della fuga e dell’abbandono oppure vede spegnersi tutti quegli ideali, per cui ha speso una vita intera pagando di persona, viene evidenziata con il garbo della narratrice di storie e con la profonda partecipazione umana di chi sa che sta proponendo storie vere:è il caso della morte di Cicerone, il padre della patria  costretto dalla tyche a subire una morte ignominiosa per opera di Marco Antonio e del suo ingenium pravo ed efferato!

***

Inserendosi fruttuosamente nel solco già tracciato dei propri interessi per la sofistica e le significazioni sorprendenti e meta-etiche, potremmo dire, cui essa sottopone il linguaggio umano in uno strenuo esercizio di destrezza micrologica, e nell’intento di approfondire le specifiche potenzialità del linguaggio e dell’espressione come strumento d’indagine privilegiato sull’opera letteraria, Paola Scollo si è accostata a quel genere letterario che più di tutti consente di approfondire il problema del linguaggio e dell’espressione in relazione a un numero di variabili sicuramente più alto di quello che può consentire qualsiasi altro genere letterario in prosa, quali sono  tutti i fatti e le contingenze della vita di un personaggio . Questo genere si trova al crocevia esatto fra realtà e creazione , che è lo stesso dire fra vita e romanzo, fra la verità dei fatti e quella che si vuole o si riesce a far passare come tale, ed  è –appunto- la biografia.

Un genere da sempre considerato “minore” perché spesso incentrato sulle vicende di una singola individualità umana,  relegato nell’immaginario collettivo moderno in quel limbo ove sosta, in attesa di prendere forma e senso,  una vasta congerie di materiali letterari eterogenei che vanno dalla vita dei regnanti a quella delle veline e dei calciatori, e che includono nel medesimo contenitore le gesta sportive come la mondanità più trita e vieta con qualche pallido riflesso di storia o di politica. L’industria editoriale moderna raramente ci restituisce libri sotto forma di biografia che possano dare al lettore più del palpito breve della curiosità effimera, legata indissolubilmente alle suggestioni mediatiche con il loro incanto fragile, pronto a dissolversi come cellophane che fa luccicare per un attimo l’involucro che racchiude il nulla.   Non così la biografia antica che, nell’ottica di un’umanità ispirata al forte sentire, vuole eternare fatti e persone di cui i secoli a venire possano giovarsi come esempi luminosi: parliamo segnatamente delle biografie plutarchee, le “Vite” per antonomasia, la fonte principale cui Paola Scollo attinge sia per la ricchezza e la varietà dei personaggi ritratti, sia per la funzione di filtro che Plutarco si assume nei confronti di una civiltà che non si può più delimitare entro gli angusti confini di una nazione, ma guarda a un mondo che sembra unificare secoli di storia, popoli ed etnìe sotto la potente ègida romana : una sorta di mondo globalizzato, un villaggio globale ante litteram il cui fattore unificante è l’uomo come soggetto portatore e costruttore di civiltà piuttosto che come autore di progresso materiale e scientifico, in  cui non agisce una schiera di uomini illustri dai contorni generici e dalle virtù astratte e a-storiche,  ma piuttosto  si ripensa un mondo che sta cambiando, lo si inserisce in un quadro vasto che supera i particolarismi e gli steccati e gli si fa ritrovare suprema unità e coerenza nella cifra eternamente umana da cui è segnato . Quel che conta per Plutarco è il metodo, e nell’opera di Paola Scollo esso è ripreso e inserito in un quadro ancora più ampio: non più la vita di un Greco posta in synkrisis con quella di un Romano, ma due blocchi, uno interamente greco e uno interamente romano, strutturati internamente in parallelo, partendo dalle origini, dalla figure fondanti ciascuno dei due “universi”, in cui realtà e fantasia, storia e mito, non si possono nettamente distinguere, fino a quella sorta di apoteosi dell’ingegno e della tempra umana che solleva l’uomo al livello della divinità, nella tragica affascinante avventura che gli fa toccare quasi le stelle e poi , attraverso il dramma sconcertante della morte , e proprio in virtù di quella fatale interruzione, lo fa riemergere dall’oblio per il tramite della memoria collettiva che varca i secoli. Fra questi due poli, della storia e del mito, emergono di volta in volta, suggeriti con discrezione e mai enfatizzati, tutti i tratti dell’animo umano, e tutte le manifestazioni contraddittorie di esso. Proprio qui sta, a mio avviso, una delle chiavi di lettura del libro: la contraddittorietà dell’animo umano, la sua irriducibilità e la sua impossibilità di reductio ad unum sono la fonte da cui promana il  suo stesso fascino. Così Teseo è l’iniziatore della storia di Atene proprio in virtù dell’alone mitico che circonda la sua figura; Pericle, aristocratico che si lega al partito democratico, parla di democrazia ed è in realtà il fautore di un assolutismo illuminato; Nicia è promotore della pace e protagonista della guerra, Alcibiade è bello e virtuoso ma egocentrico e capriccioso e volubile.  L’energia indomita che come un fremito divino attraversa le grandi personalità non si lascia classificare nelle consuete categorie di bene e male, di virtù e vizio, ma agisce con il suo potenziale tutto intero, indiviso,  eppure così fecondo di sviluppi proprio perché si dispiega interamente nella storia, con la stessa ampiezza e varietà che portano in sè le potenziali interazioni del singolo con l’ambiente, il secolo, la storia, l’eternità, la memoria.

Le fonti sono plurime, come si rende conto nell’ultima parte del libro, in cui si riportano le “fonti storiche” e la “bibliografia di riferimento”. Emerge dalla prima il quadro degli autori antichi censiti dall’autrice: accanto al buon Plutarco, troviamo Erodoto, Arriano, Polibio, Platone e soprattutto Tucidide, lo storico in cui “autopsia” e discorsi dei personaggi vanno a braccetto nel primo esempio che la storiografia greca ci offra di metodo rigoroso, sebbene soggetto, secondo la nota formulazione teorica di Luciano Canfora, al rischio dell’inquinamento delle fonti. Dalla seconda si evince che , nel laboratorio di Paola Scollo, sono stati presenti anche storici moderni della caratura di Carmine Ampolo e Santo Mazzarino, fra gli altri. Di questa vasta congerie di materiali  si fa un uso sapiente e misurato, senza mai scomporre l’unità del dettato narrativo a causa delle inevitabili aporie che lo studio delle testimonianze crea, ma mantenendo la compattezza e l’unità di una sorta di  ”romanzo dell’antichità” che si lascia leggere anche semplicemente per la capacità che ha di evocare il fascino di un’epoca attraverso le sue figure più eminenti. La fonte plutarchèa, in particolare, è usata -a mio avviso- proprio per superare lo schema moralistico che la sottende.

23 Aprile 2014 23 Aprile 2014

Libreria Mondadori Avola

Presentazione del libro di Paola Scollo, Ritratti d’autore. Vite a confronto oltre la storia e il mito
Relatore: Prof. Elio Di Stefano

***

Paola Scollo ci accompagna in questo viaggio con lo zelo discreto e prudente di chi ha la vocazione all’insegnamento: suggerisce, accosta, cita soprattutto, e particolarmente le parole dei “suoi” personaggi, nella convinzione che esse sono lo strumento principale di ogni vera analisi che sia pienamente umana, e quindi trascenda la storia e quella sua interfaccia ineliminabile che è il mito, nella multiforme fenomenologia in cui si sa manifestare e sa porsi -o meglio, imporsi- come elemento fondante e strutturante.

Ci sono, poi, nell’universo di questi uomini a tutto tondo, parole-chiave che essi non pronunciano, ma è lo storico o il biografo antico a farlo per loro e in relazione a loro : sono termini-chiave come physis, ethos, paradeigma, per citarne solo alcune. Ogni uomo è portatore di un mondo di potenzialità innate e si realizza in un reticolato di rapporti col suo ambiente circostante, con la famiglia, col secolo, e in base a ciò si realizza e lascia di sé la traccia di un modello destinato a superare le occasioni e le contingenze per fissarsi nel Tempo che varca i confini della finitezza umana.

L’autrice non impone mai la sua prospettiva al lettore, né, però, la dissimula: il libro si può così fruire a diversi livelli. Una dinamica incessante si sviluppa così fra micro e macro contesto, un andirivieni fra elementi fissi e permanenti ed altri mobilissimi, variabili e perfino imprevedibili che sono le singole epoche ed ambienti in rapporto all’ eterno “anthropinon”, l’umano che sempre impronta di sé la Storia, e che, in ossequio alla aurea formulazione tucididèa, ci permette di “tesaurizzare” le vicende stesse facendone il più immateriale dei beni immobili, quello “ktema es aiei” che tutti riconosciamo nelle vicende della storia, ma che è possibile conservare necessariamente non di per sé, ma piuttosto attraverso l’occhio che vede, la mente che filtra, con tutte le sue inevitabili piccole o grandi deformazioni, e soprattutto attraverso la scrittura che  fissa e  trasmette.

Mentre nell’analisi “uno a uno”, nella “singolar tenzone” di Plutarco emergevano le dinamiche della storia-che si serve anche del mito-, dallo schema di Paola Scollo affiora una dinamica umana che, proprio in virtù del fatto di essere identica nel percorso ideale delle due culture, trascende tempi e luoghi e assurge alle limpide plaghe dell’umano, dove brilla trasfigurata al di là delle categorie, ma resa flessibile e sempre viva dal fatto di materiarsi di parole, di quello strumento agilissimo, cioè, che più di tutto, e prima ancora dell’azione stessa, permea di sé l’agire umano, e l’agire umano dentro le pieghe della storia, nei meccanismi della vita della singola città e nei rapporti politici, diplomatici e militari delle città e degli stati fra loro.

***

26 Aprile 2014, Palazzolo Acreide

Presentazione del libro di Paola Scollo, Ritratti d’autore. Vite a confronto oltre la storia e il mito
Relatore: Prof. Elio Di Stefano


Considerazioni tutte a sé stante merita poi la parte conclusiva di questo lavoro, in cui, esaurita ormai la parte narrativa, l’autrice va alla riscoperta dei modelli di uomo politico ideale e alle vaste costruzioni teoriche riguardanti la politeia, cioè la costituzione degli stati. Questa è la sezione in cui l’argomentazione prevale sulla narrazione , e il cerchio si chiude trionfalmente attorno al potere della parola che coagula attorno a sé le varie sfaccettature di un’idea di stato che riproduce fedelmente la natura per condurre alle ragioni ultime dell’agire politico dell’uomo, che è la pace, fondamento e alimento necessario per il prosperare di ogni comunità.

All’inizio dell’opera, l’autrice riporta una citazione plutarchèa che si pone a mo’ di sigillo, di sphraghìs di tutto il lavoro, e con essa ci piace concludere questo intervento: in Vita Alexandri I, 2, Plutarco scrive: «Io non scrivo storie, ma biografie; né nelle imprese più celebrate è insita sempre una chiara manifestazione di virtù o di vizio, ma spesso un breve episodio o una parola o un semplice motto di spirito offrono una dimostrazione del carattere molto più che battaglie con migliaia di morti e grandissimi spiegamenti di forze e assedi di città». Ecco, nella sua attenzione all’uomo, che emerge sempre, in ogni atto, anche il più piccolo, Plutarco –e Paola Scollo con lui- ci induce a non sottovalutare mai le sorprese che ogni essere umano, anche il più apparentemente dotato di una physis o di un ethos negativi o insignificanti, ci può riservare: tutto questo ci educa verso quell’amore per l’umana natura che non giudica mai, ma comprende e valorizza, promuove e incoraggia, dà fiducia e sostiene, all’insegna di quella philantropìa che, in fondo in fondo, è il frutto più maturo di qualunque lettura e di qualunque insegnamento.

Avola, 22 aprile 2014

Elio Di Stefano